MONS. BERNARDO ANTONINI

Notizie utili sul Venerabile

Cìmego (Trento), 20 ottobre 1932 ~ † Karaganda (Kazakhstan), 27 marzo 2002

Sito di riferimento dove potete trovare notizie e informazioni:

www.donbernardoantonini.it

Nel link di seguito trovate la lettera proveniente dalla “CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI” inerente la beatificazione e canonizzazione di Mons. Bernardo Antonini (cliccate QUI).

Commemorazione del 15 anniversario di morte, Raldon 26 marzo 2017 (cliccate QUI)

Servo di Dio don Bernardo Antonini

Profilo della personalità e della spiritualità del Servo di Dio

  «Un sacerdote felice che pregava con amore, non negava a nessuno il suo sorriso e conosceva dieci lingue. In realtà ne parlava perfettamente solo una, quella dell’amore sconfinato di Cristo». Così, con poche parole, è possibile definire – ed è stata definita – la figura del Servo di Dio mons. Bernardo Antonini, di cui il 27 marzo scorso ricorreva il 12° anniversario della nascita al Cielo. Nonostante la ricchezza di esperienze della sua esistenza umana e la pluralità e diversità degli ambienti di vita da lui incontrati, è relativamente semplice tracciare un profilo della sua personalità e della sua spiritualità, dal momento che essa appare fedele, dall’inizio alla fine, a pochi, essenziali e ben definiti tratti distintivi.

Partendo dal ritratto delle sue doti umane, il lato più evidente del suo temperamento, la caratteristica che più si imprimeva nella memoria di chi lo incontrava per la prima volta era l’affabilità: appariva immediatamente una persona accogliente, coinvolgente, accattivante. Un sorriso pieno di mitezza, amorevolezza e bontà era il suo biglietto da visita. Andava incontro alle persone con gioia, sorridendo e assai di frequente con una battuta, un «evviva» o un «alleluia». Curava in maniera significativa le relazioni umane ed era capace di ascolto profondo: nel dialogo interpersonale comunicava vicinanza sincera all’interlocutore e infondeva fiducia e sicurezza. Aveva un vero e proprio culto dell’amicizia. Una sua figlia spirituale, poi missionaria in America Latina, lo ringraziava con queste parole: «Sei stato un vero grande fratello! Fai sorgere nell’animo di chi ti avvicina e ti conosce il senso più profondo e genuino della fraternità».

Don Bernardo era, inoltre, fornito di doti intellettuali non comuni: la memoria, innanzitutto, ampiamente esercitata nei lunghi anni della formazione scolastica e accademica; una naturale attitudine all’apprendimento delle lingue, tanto quelle antiche (latino, greco, ebraico), quanto quelle moderne (francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, russo); un carattere tenace e volitivo, grazie al quale riuscì a raggiungere i più alti livelli della formazione accademica, sia in ambito civile che ecclesiastico; una grande disciplina interiore. Nello studio, nell’insegnamento e nell’attività pastorale mostrò, infatti, un’incredibile dedizione al lavoro. Aveva fatto suo il motto di san Giovanni Bosco: «Lavoriamo e sudiamo di qua; riposeremo di là!». Per sforzarsi di rimanere sveglio a lavorare durante le ore notturne, si aiutava restando in piedi davanti ad un leggio. Con grande talento organizzativo, lavorava lui stesso e faceva lavorare gli altri, intuiva le capacità di ognuno e trovava i mezzi per mobilitarle. Ricordano i suoi più stretti collaboratori: «Temevamo quel sorriso particolare che aveva sulle labbra quando progettava di combinare qualcosa di nuovo»; e ancora: «Aveva un’attenzione per tutti. Se c’era don Bernardo, ognuno esisteva».

In ogni momento della sua vita, anche nei passaggi più piccoli e insignificanti, egli appariva guidato dalla visione soprannaturale delle cose propria di chi possiede una grande fede. Così i doni che la natura gli aveva fatto e le sue qualità umane poterono essere fecondate dalla grazia di Dio. Fin da quando era giovane seminarista, vederlo raccolto in preghiera ha edificato e spinto all’emulazione molte persone: definiva la preghiera il suo «petrolio spirituale». Ricorda una testimone: «Guardandolo quando pregava, lo vedevo come estraniato dal mondo che lo circondava, era immerso in un luogo in cui era lui e Dio solo, cuore a cuore».

Sarebbe riduttivo affermare che coltivava la devozione eucaristica. Era, piuttosto, un “uomo eucaristico”: non solo passava ore di adorazione davanti all’Eucarestia, ma viveva l’unità interiore con Gesù Eucaristia. A Verona – e più tardi anche a Mosca – aveva chiesto e ottenuto, non senza insistenze, dal proprio vescovo il permesso di conservare le Specie eucaristiche nella sua abitazione di piazza Duomo, in una piccola camera trasformata in cappella. Lavorava alla scrivania, nel suo studio, lasciando sempre aperte le porte della cappella e dello studio. Alcuni testimoni riferiscono che nel modesto tabernacolo usava riporre dei fogli piegati, dove aveva annotato i problemi più importanti che lo assillavano: era il suo modo di consegnarli a Gesù. Tanta vicinanza al mistero eucaristico lo portava ad avvertire con urgenza la necessità della Confessione sacramentale, alla quale si accostava, in certi periodi della vita, con frequenza quotidiana (ricevette l’assoluzione anche l’ultima sera della sua vita).

Era evidente, per tutti quanti l’hanno conosciuto, la sua grande e filiale devozione mariana. Assimilata fin da piccolo dalla madre Alice, essa è al primo posto fra i suoi propositi spirituali di giovane sacerdote: «La devozione alla Madonna la curerò sempre di più, come me l’ha instillata la mia mamma con il S. Rosario in famiglia e il capitello della mia contrada, costruito da mio padre stesso per il mio sacerdozio». Con il prosieguo degli anni, il suo rapporto con la Madre di Dio si carica di accenti di confidenza e familiarità straordinari, fino al semplice saluto: «Mamma mia, ciao!», rinvenibile nei margini dei suoi ultimi fogli. La corona del Rosario era la sua forza, a Mosca, quando doveva recarsi ai Ministeri per richiedere qualche autorizzazione; il Magnificat, canticchiato in metropolitana, il suo ringraziamento per essere stato esaudito.

Tutte le nuove strutture della rinascente Chiesa cattolica russa, sono da lui poste sotto il patronato della Madonna: la radio è Radio Maria, il Seminario è intitolato a «Maria Regina degli Apostoli». Il 13 ottobre 1996, durante la peregrinatio in Russia della statua della Madonna di Fatima, è il rettore, mons. Antonini, che la accoglie commosso nella cappella del Seminario con le parole: «Entra, o Maria, in questa Chiesa, entra in questo Seminario, nel tuo Seminario, entra nella tua casa!».

Di lui è stato detto che «era prete al 100%». Va ricordato che gli impegni richiesti dalla Chiesa ai suoi ministri (l’obbedienza all’Ordinario diocesano, il celibato sacerdotale, la testimonianza di una vita sobria) furono vissuti da don Bernardo nella dimensione più alta e più esigente della pratica dei consigli evangelici. L’appartenenza alla Famiglia Paolina, infatti, gli ha consegnato, mediante la professione dei voti di castità, povertà e obbedienza, orizzonti e mete di perfezione più vicine alle sue aspirazioni ascetiche, senza costringerlo per questo a rinunciare alla dimensione diocesana del suo presbiterato.

Tra le virtù da lui praticate al più alto grado, merita una menzione particolare l’obbedienza nei confronti, innanzitutto, del suo vescovo (quello di Verona, e poi quelli di Mosca e di Karaganda). Ricorda un suo confratello veronese, presente a San Pietroburgo in occasione delle prime ordinazioni sacerdotali: «Ci siamo trovati per un amichevole brindisi, oltre a lui alcuni compagni di classe, il vescovo di Verona padre Flavio Roberto Carraro e l’Arcivescovo di Mosca mons. Kondrusiewicz. Padre Flavio a bruciapelo gli chiese: “Cosa diresti se ti fosse proposto di lasciare tutto quello per cui ti sei impegnato?”. Don Bernardo si fece serio: “Io sono un sacerdote della diocesi di Verona, sono qua per fare un servizio a nome della diocesi, mi può chiamare quando vuole, sono pronto a lasciare tutto”». Spesso ai seminaristi parlava di quanto la Chiesa ha dovuto soffrire, nel passato e nel presente, per la disobbedienza di qualcuno dei suoi figli. Quando toccò a lui subire dei cambi-alternanze nei suoi incarichi, anche quando questi potevano avere il sapore della rimozione, diede esempi edificanti di obbedienza ecclesiale.

Era del tutto alieno dal carrierismo: dell’importante nomina a Consultore della Congregazione per l’Educazione cattolica, il dicastero vaticano competente per i Seminari e gli Istituti di studi, i più sapranno solo dopo la sua morte.

Per se stesso non aveva esigenze. Vestiva poveramente ma dignitosamente, non concedeva nessuno spazio al superfluo. Preso da mille impegni, trovava il tempo di accogliere i poveri, ascoltarli, condividere con loro il poco che aveva. Anche i regali che riceveva per sé, specie i capi di vestiario, solitamente erano rigirati come doni ad altri che ne avevano maggiore bisogno. Gli inizi, a Mosca e a San Pietroburgo, non furono certo facili. Scrive nelle sue memorie: «La vita è dura: tra il 1991 e il 1992 tutti i magazzini sono vuoti, il pane c’è di rado, il latte meno ancora; io perdo, a dire il vero, molti chili, però l’apostolato è meraviglioso». I suoi collaboratori di allora ricordano che, da rettore del Seminario, aveva preso l’abitudine di consumare un solo pasto al giorno: «Una vita ascetica come pochi possono averla, però voleva che i suoi “lupetti” – i   seminaristi – mangiassero bene. Faceva portare sempre della roba in più e insisteva: “Mangiate ragazzi, fa freddo”, ma lui non mangiava».

Numerosissime sono le testimonianze raccolte intorno ai suoi gesti di carità, molti – dobbiamo supporre – resteranno nascosti per sempre. Ma la carità, in senso cristiano, non si limita all’elemosina. La più alta forma di carità da lui esercitata è stata proprio quella dell’educatore, del formatore. Si prenda, ad esempio, questa testimonianza preziosa sul clima che si viveva al Collegio «San Tommaso d’Aquino» di Mosca, la Scuola di teologia per laici di cui era decano dal 1991: «L’insegnamento di don Bernardo non si limitava a conferenze e lezioni seminariali, lui si prendeva cura di ciascun studente, si interessava di tutto quello che ci succedeva al corso, nelle nostre famiglie, nei nostri cuori. Impercettibilmente cambiò i nostri sguardi verso la vita, dell’uno verso l’altro. Noi, suoi allievi, continuiamo ancor oggi a sentirci, nonostante le distanze geografiche e temporali, ci aiutiamo l’un l’altro».

Il centro della sua giornata era la celebrazione della Santa Messa. Racconta una religiosa: «Ho visto per parecchi anni, ogni giorno, don Bernardo celebrare la Santa Messa, ma non ho mai colto in lui momenti di stanchezza o di apatia spirituale. La solennità con cui celebrava la Santa Messa ogni mattina, alle ore sei, era la stessa con cui celebrava nel giorno di Pasqua». Amava molto il canto nella liturgia e lui stesso era dotato di una voce dal timbro limpido e solenne; nessuna concessione, invece, alla fretta («La fretta nella liturgia è come la tempesta nel vigneto», usava ripetere con i Padri della Chiesa).

La Parola di Dio era il suo cibo, la sua fonte di preghiera, la sua passione nella catechesi, nello studio, nell’insegnamento, nella predicazione. L’impressione comune era che don Bernardo fosse uno che credeva ciò che annunciava. «Leggete la Bibbia di giorno e di notte» era il monito che rivolgeva più di frequente, in Russia, non solo ai chierici suoi studenti, ma anche al barbiere, ai tassisti, ai benzinai, ai funzionari del partito comunista. È quello che lui stesso chiamava apostolato della strada. Un giorno gli capita di raccontare qualcosa della sua missione ad un tassista di Mosca e con sorpresa, una volta giunti a destinazione, costui, invece di chiedergli il conto, lo supplica: «“Continui a parlarmi di Dio, perché nella mia macchina mai si è parlato di Dio”. Spegne il motore e io gli parlo di Dio, di Gesù Cristo, del Vangelo per un quarto d’ora. Per me questa è una gioia infinita». L’appartenenza alla Famiglia Paolina, a partire dagli anni Settanta, lo spinge, poi, ad un impegno crescente nell’apostolato dei media, i nuovi mezzi della comunicazione sociale (giornali, radio, televisione).

Lo spirito missionario, il carisma paolino e una sconfinata fiducia nella Divina Provvidenza fecero di lui, secondo la definizione di un confratello sacerdote, un «apostolo esagerato». «Era un sacerdote insaziabile, era incontenibile nelle sue aspirazioni, nei suoi programmi: non lo fermava niente e nessuno. Era esagerato nel dare la sua salute, il tempo, il sonno, le sue forze per il suo apostolato». Ciò che don Bernardo è riuscito a realizzare in un solo decennio in terra russa ha davvero, da un punto di vista umano, dell’incredibile.

Dopo anni di intenso lavoro a Mosca e a San Pietroburgo, la Conferenza Episcopale russa lo nominò responsabile per il Giubileo del 2000 e, nel contempo, lo sollevò dall’incarico di rettore del Seminario. Fu questa una prova estremamente dura per l’obbedienza ecclesiale di don Bernardo, chiamato a lasciare – per così dire – la sua stessa creatura. Rimase, tuttavia, a lavorare con lo spirito e l’abnegazione di sempre fino all’ultimo giorno, quello in cui «tenne un bellissimo discorso, ringraziando il Signore e i vescovi per tutto e, davanti ai seminaristi stravolti per la sua inattesa partenza, disse loro: “La forza della Chiesa e la strada di santità dei sacerdoti stanno nell’obbedienza”». Rivelatrici del suo intimo sentire sono le parole che si leggono in alcuni fogli autografi allegati al registro delle Sante Messe: «Lo Spirito Santo per Mariam Matrem mi invitano fortemente ad essere in Russia il servo di tutti. Perciò resterò in servizio in Russia, obbedendo ai segni di Dio. Perciò non dirò: “Me ne vado… per le difficoltà, per le incomprensioni, per le rimozioni o per il posto di lavoro…” L’ultimo posto in diocesi è di Dio e mi santifica, e resto… Se finirò in un angolo nascosto della Siberia, nel silenzio, nel nulla, questo è il trionfo dell’amore, il trionfo per un presbitero, per don Bernardo». Fu poco dopo che si rese disponibile a partire per il Kazakhstan. Chi gli era vicino in quei momenti ha scritto: «Quasi settantenne rischiava un’altra volta, lasciava tutto, affidandosi a Dio solo, come Abramo. Nella sua vita c’era solo un senso e motore: la follia della Croce».

Il 20 ottobre 2013, nella Cattedrale di Verona, si è chiusa l’Inchiesta diocesana per la beatificazione e la canonizzazione del Servo di Dio mons. Bernardo Antonini. Noi, oggi, ne abbiamo passato in rapida rassegna le virtù umane, cristiane, sacerdotali ed apostoliche. Alla Chiesa, che ci è madre e maestra, spetta ora giudicare se l’esercizio di tali virtù abbia raggiunto o meno il grado dell’eroismo.

Edoardo Ferrarini

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